Il secondo dominio bizantino — L'età aurea di Monemvasia (1263 — 1460)
La cessione delle suddette tre città ai Bizantini determinò notevoli mutamenti marcando il primo passo nella riconquista della Grecia. Per la popolazione della Morea questo avvenimento segnò l'inizio di una guerra durata più di cinquanta anni, che devastò il paese, distrusse le sue ricchezze e gettò gli abitanti nella miseria. Una parte emulò l'altra nel saccheggiare e nello spargimento di sangue. In questi anni i soldati turchi fecero la loro prima comparsa in Grecia, come mercenari al servizio dell'imperatore, navi genovesi li fecero sbarcare per combattere contro i Franchi.
Notevole era l'importanza di Monemvasia come testa di ponte bizantina nella Morea franca, e l'imperatore Michele VIII ne era consapevole; durante il suo regno essa fu elevata a sede di un metropolita ortodosso e i suoi abitanti ottennero ulteriori agevolazioni fiscali e prerogative. Ai mercanti di Monemvasia ad esempio fu concesso libero accesso, con esenzione da tasse, ai mercati dell'impero bizantino, un privilegio che procurò loro un grande vantaggio rispetto ad altri mercanti e incrementò notevolmente la loro concorrenzialità. Un altro esempio di privilegio concessivo a Monemvasia fu la facoltà di impiegare tutte le ammende pagate dai cittadini, per il potenziamento delle opere di difesa, e se ne potrebbero addurre numerosi altri.
Mentre l'impero bizantino riprendeva sempre più piede in Morea e i cavalieri franchi venivano a trovarsi in una situazione sempre più difficile, gli abitanti di Monemvasia potevano dedicarsi indisturbati ai loro affari. Mistra divenne la capitale di un despotato bizantino in Morea, retto da un parente, di solito un fratello, dell'imperatore. Qui si sviluppò dunque, secondo solo a Costantinopoli, il più importante centro di arte e cultura bizantina. Monemvasia era il porto principale del despotato e in questa qualità seppe assicurarsi numerose prerogative. Come risulta da esempi storicamente accertati, all'occorrenza gli arconti e il clero di Monemvasia non rifuggivano nemmeno dal falsificare lettere di privilegio ed altre scritture e dal presentarle al sovrano appena salito al trono per farsi confermare questi pretesi antichi privilegi. L'imperatore Andronico II Paleologo (1282 — 1328), grande promotore di Monemvasia, emanò nel 1301 addirittura una "bolla d'oro" (Chrysobullo), nella quale furono confermati espressamente i possedimenti, i diritti e le franchigie di Monemvasia e del suo metropolita e nella quale si fa ammirativa menzione della città, della sua ricchezza, della valentia e prodezza dei suoi abitanti e della loro fedeltà all'impero.
Il secolo XIV, sotto il dominio del despotato di Mistra per la Morea un'epoca di relativa stabilità politica, fu per Monemvasia l'età aurea. Il benessere della popolazione crebbe e la città partecipò anche allo sviluppo culturale emanante dalla corte imperiale di Mistra. Da qui si diffuse il neoplatonismo che, con la mediazione di Giorgio Gemisto Pletone, raggiunse anche l'Europa occidentale. Ma anche gli abitanti di Monemvasia erano celebri per la loro cultura. Quaranta e più chiese raccoglievano un clero numeroso, il ché corrispondeva all'importanza di Monemvasia come sede di un metropolita. C'erano scuole e biblioteche ben dotate, la più importante delle quali apparteneva alla famiglia Likinios. Di questi tesori culturali non è rimasto niente, e la Monemvasia attuale fa pensare solo da lontano a questa prosperità culturale.
Monemvasia restò fino al 1460 in mani greche. Ancora nel 1450 Demetrio Paleologo, l'ultimo despota di Mistra, la definisce una delle città più importanti e produttive della sua signoria. Ma l'incombente declino dell'impero bizantino minacciava di coinvolgere anche Monemvasia. La conseguenza che gli arconti tirarono da questa situazione, fu di tentare di assicurare autonomamente l'indipendenza e la libertà della loro città. Già nei decenni precedenti, allorché si manifestò sempre più chiaramente l'incapacità della signoria bizantina corrotta e dilaniata da intrighi e guerre civili, gli arconti di Monemvasia avevano cominciato a trarre profitto dagli antagonismi delle potenze rivaleggianti per il possesso della Grecia, simulando di accostarsi a Venezia, facendo appello al sultano turco che con le armi restituì nei suoi diritti l'arconte Pavlos Mamonas contro la volontà del despota Teodoro di Mistra. In questa occasione (1394 o 1395) Monemvasia ospitò per la prima volta una guarnigione turca entro le sue mura. Dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 e la disfatta definitiva del despotato di Mistra, Monemvasia si trovò completamente abbandonata a sé stessa. Pur essendosi ivi rifugiato con la famiglia, l'ultimo despota, Demetrio Paleologo, fuggì all'avvicinarsi dell'esercito turco (1460) abbandonando la famiglia stessa e gli abitanti di Monemvasia al loro destino. Su richiesta di Demetrio, nel frattempo prigioniero del sultano, i Monemvasioti consegnarono ai Turchi la moglie e la figlia di Demetrio, ma nello stesso tempo li diffidarono "a commettere un atto empio contro una città resa inespugnabile da Dio". Il comandante turco, impressionato da questo atteggiamento orgoglioso e certamente anche dalle opere murarie, fece ritirare le sue truppe.